Il colloquio è la regina delle prove di selezione, è il momento della verità in cui le persone sono a confronto integralmente, nelle loro competenze, nelle loro personalità e nello stile di relazione. È anche una prova imprevedibile nel suo svolgimento e nel suo esito: ognuno di noi osserva la realtà alla luce di schemi, opinioni e pregiudizi suoi propri, soprattutto su un tema così soggettivo come la valutazione delle persone.
Quindi, senza cessare di essere noi stessi, durante i colloqui di selezione dobbiamo tenere presente che ciò che crediamo di dire e manifestare, e ciò che sarà percepito dal nostro interlocutore non sono necessariamente la stessa cosa. Capita spesso che si esca da un colloquio convinti di aver dato l’impressione di essere socievoli ed estroversi, mentre la nostra Margherita Pizza avrà appuntato "sopra le righe, ingenuo e farfallone", o di essere sembrati seri e misurati e invece essere stati catalogati come rigidi ed introversi (per fortuna, accade anche il contrario).Vedremo ora il "decalogo" di un buon colloquio, anche se va precisato che un buon colloquio è quello in cui non si fa alcun autogol, e si riesce ad uscire al meglio come siamo realmente, come ci vedono i nostri amici e coloro che ci vogliono bene.
Non è un buon colloquio quello in cui si riesce a "bluffare" nascondendo tratti importanti, ancorché inopportuni, del nostro background personale o professionale. Infatti, nel colloquio dovrebbe svilupparsi una "alleanza" tra selezionatore e selezionato, per capire se si è realmente tagliati per il lavoro offerto. Solo se si è certi di avere tutti i requisiti necessari, un minimo di "bluff" è consentito per ottimizzare le proprie chances di vittoria (è il concetto di "dolus bonus" accettato anche dalle leggi del commercio), ma guai a simulare capacità per un lavoro per cui siamo negati: molto meglio perdere un’occasione che fallirla. Oltretutto, le simulazioni o le vere e proprie bugie, se avete di fronte un professionista, hanno le gambe corte.