Sopra

Il decalogo del buon colloquio

C’è una premessa da fare: i consigli che seguono valgono in tutti i tipi di colloquio, ma il comportamento da tenere deve variare a seconda del "rapporto di forza" tra voi e i vostri concorrenti: nella ricerca di quella specifica opportunità, pensate di essere in pole-position, a metà classifica o molto indietro rispetto ai favoriti?

La tattica di gara, come in ogni competizione, è fondamentale: se, per curriculum ed esperienze, nonché per i segnali che vi vengono dall’azienda ritenete di essere tra i favoriti, l’importante è non sbagliare, non rischiare, recitare il proprio ruolo con sicurezza ma senza lasciarsi andare ad alcuna improvvisazione. Se invece vi accorgete di essere in svantaggio, perché ad esempio il vostro titolo di studio non è proprio quello desiderato, o perché cercano possibilmente una persona con un po' di esperienza, o perché il vostro CV sembra oggettivamente debole, non potete limitarvi a fare bene il compitino durante la selezione: dovete inventare qualcosa, prendervi dei rischi maggiori pur di farvi notare e considerare. Tanto, non avete niente da perdere.

Quindi, le regole di bon ton che ora leggerete vanno interpretate: alcune situazioni che possono farvi "uscire dagli schemi", sia sul piano della relazione con i selezionatori che dei contenuti, possono essere dei rischi o delle opportunità a seconda del vostro piazzamento parziale nella "hit parade" dei candidati.

I) FATE UNA BUONA "PRIMA IMPRESSIONE"

"You never have a second chance to make a first impression", dicono gli americani, ed è drammaticamente vero. La prima impressione che avrete creato nel vostro interlocutore vi resterà sempre appiccicata addosso: che si tratti di vostra moglie o marito, o del vostro capo, sicuramente chi vi sta vicino ricorderà le sensazioni che gli avrete suscitato nei primissimi momenti della vostra conoscenza, (e sarà sempre pronto a rinfacciarvi "L’avevo intuito subito, che eri un gran...").

Vi sono alcuni accorgimenti ovvi, ma importanti, come il non arrivare in ritardo e non presentare ansimanti una mano sudaticcia per non creare un’ impressione sfavorevole, ma vi è in generale la prima "fase" del colloquio da preparare con cura.

Un colloquio ha infatti, abitualmente, quattro fasi: il "warm up", o riscaldamento, l’ esame del candidato, il "controesame" da parte del candidato, e la chiusura. Il "warm up" può durare 2-3 minuti, contro i 20 dell’esame, i 10 del controesame ed i 4-5 della chiusura, ma questi due minuti possono influenzare enormemente il prosieguo. In circa un terzo dei colloqui, infatti, la brava Margherita avrà già "segato" mentalmente il candidato dopo i convenevoli: e solo in qualche raro caso farà poi marcia indietro a fronte di una più analitica valutazione. Per fare un buon "warm up" dobbiamo farci vedere da subito tranquilli, curiosi e affidabili, ma dobbiamo anche cercare di stabilire una buona intesa personale con il selezionatore. Senza fare i ruffiani, un sorriso sincero, una battuta, una osservazione che sdrammatizza il colloquio sono sempre gradite: se il candidato è teso, anche il selezionatore non si rilassa, non si "gode" il colloquio. Bastano poche chiacchiere per dimostrare che siamo persone aperte e disponibili, e il vostro interlocutore ve ne renderà merito. I convenevoli devono essere brevi, però, perché altrimenti il selezionatore penserà che vogliamo tergiversare, o che siamo dei chiacchieroni.

II) PREPARATEVI SUI VOSTRI PUNTI DEBOLI

La seconda parte del colloquio è, non nascondiamolo, un esame vero e proprio. Le vostre competenze e la vostra personalità saranno scandagliate a fondo, in cerca di eventuali carenze. Poiché nessuno di noi è perfetto, qualcosa di spiacevole affiorerà, che noi ce ne accorgiamo o meno: il problema è come far si che il selezionatore non giudichi la nostra persona nel suo complesso alla luce dei punti deboli, ma arrivi a considerarli dei "nei" di secondaria importanza. Come fare?

La risposta è, apparentemente, semplice: giocando d’anticipo, riconoscendo le nostri eventuali lacune, inquadrandole nella loro vera luce, e dimostrando come siamo riusciti a compensarle. Guai a negare l’esistenza di punti deboli ("Io le sembro un po' aggressivo? Ma lei si è bevuto il cervello !") , e guai anche a cercare di rigirare la frittata ("Voti bassi all’università? Ma io mica studiavo per il voto !"). Vediamo qualche esempio di come trarsi d’impaccio:

"Dice che sembro un po' aggressivo, un po' drastico nei giudizi? Si, può darsi che dia questa impressione: il fatto è che apprezzo molto la chiarezza. So che i compromessi spesso sono indispensabili, ma anch’essi, per essere efficaci, devono nascere (è una mia opinione, per carità) da un confronto duro, esplicito. Sono magari molto pignolo, analitico, dubbioso nella fase di studio dei problemi, ma una volta fattami un’ opinione e presa una decisione, mi piace andare fino in fondo. So che rischio di perdere delle sfumature, ma questo mi ha consentito, finora, di raggiungere tutti i traguardi che mi sono prefisso. Certo, ora sto per entrare in un mondo che non conosco, e dovrò imparare tutto: la mia spavalderia dovrò metterla nel cassetto per un bel po'.Del resto, se chiedesse di me a chi mi conosce, mi definirebbero forse impetuoso, ma aggressivo no, credo proprio di no".

"Si, il voto di laurea non è granché. Non cerco scuse: non ho nè lavorato per mantenermi agli studi, nè fatto alcunché di memorabile nel frattempo. Il fatto è, lo confesso, che i miei primi anni di università sono stati dedicati più al divertimento che allo . studio. C’è chi matura prima, e chi dopo, e io appartengo a questa seconda categoria. Mi sono "svegliato" negli ultimi due anni, quando finalmente ho cominciato a pensare al futuro e a comportarmi come una persona adulta: ho recuperato gli esami arretrati, ho cercato di migliorare la media e soprattutto di fare una buona tesi, e credo di esserci riuscito. Soprattutto ho capito di essere stato a un passo dal perdere il treno, per superficialità, ed è un rischio che non voglio più correre. In questi due anni ho avuto la conferma che se mi impegno ottengo risultati di valore, e voglio sfruttare in pieno le mie possibilità. Come consolazione, devo dire che nei primi anni, se ho certamente studiato poco, ho però avuto esperienze così diverse che mi hanno insegnato tante piccole cose che scopro non essere inutili."

"No, non so il tedesco. Tre parole al massimo. Se per questo lavoro è indispensabile parlarlo bene da subito, io non sono la persona che fa per voi. Se invece all’inizio l’inglese può bastare, penso che sei mesi mi basteranno per imparare il minimo indispensabile: potrò ad esempio passare le vacanze in Germania in una scuola. So di non avere problemi a imparare le lingue, altrimenti io stessa non mi sbilancerei. Se sono riuscita ad amare il greco, al liceo, non sarà una lingua moderna a spaventarmi. Con l’inglese non ho avuto problemi, e con il francese me la cavo: datemi sei mesi e chiacchiereremo tranquillamente in tedesco."

"Timido? Io, timido? Beh, di natura, è vero, sono un po' timido. Da piccolo lo ero parecchio, ma poi, per amore o per forza, sono cambiato. Vede, io ho risieduto in tre città negli ultimi dodici anni. Ho dovuto cambiare tre volte le amicizie, ricostruire tutti i rapporti: ho dovuto per forza buttare a mare la timidezza, non sarei sopravvissuto. Inoltre, come avrà letto, a tempo perso mi sono occupato di volontariato, organizzando servizi, chiedendo finanziamenti, operando direttamente per il recupero dei tossicodipendenti. Non è un mondo in cui i timidi possano sopravvivere, glielo assicuro. Posso definirmi un ex-timido, che ha imparato a non tirarsi mai indietro quando bisogna farsi riconoscere ed anche rispettare. Sono contento di questo, anche se forse un "look" da timido non l’ho ancora perso del tutto".

Insomma, per non farsi etichettare in base ai propri apparenti punti deboli, occorre:

  1. prevedere che ci venga richiesto di parlarne
  2. ammetterne serenamente la plausibilità
  3. inquadrarli in un’ottica più vasta
  4. dimostrare come, essendone consapevoli, abbiamo già noi stessi individuato gli antidoti ai potenziali rischi che questi handicap rappresentano.

III) INFORMATEVI SULL'AZIENDA

Quando la nostra Margherita Pizza si sarà fatta un’idea abbastanza precisa di ciò che siete, e di quali siano le vostre motivazioni, tirerà un bel sospiro stiracchiandosi sulla sedia e socchiudendo gli occhi. È il segnale che la fase "2" del colloquio, quella dell’esame, è finita, e la palla passerà a voi, con la rituale domanda "Bene. Ora, ha lei qualche domanda da fare?"

Il modo più sicuro di rovinare un colloquio è dire, con uno stolido sorriso, "Ehm, no... non mi viene in mente niente". Il selezionatore, mentalmente, vi spedirà immediatamente all’inferno, girone degli ignavi, o nel limbo dei senza personalità.

Vedremo più oltre alcune domande che potrete rivolgere, tanto per avere informazioni utili quanto per contribuire a costruire un’ immagine positiva di voi; fin d’ora sappiate che, quanto più disinformati sarete sull’azienda e sul business, tanto più anonima e scipita sarà la discussione, che vi relegherà nella veste passiva dell’ascoltatore o vi esporrà a brutte figure (per ogni uomo d’azienda, la sua azienda è l’ombelico del mondo, e si stupirà alquanto per la vostra ignoranza). Ricordate sempre che uno dei vostri obiettivi, nel colloquio, è di abbattere la distanza tra voi e il selezionatore, e di scrollarvi di dosso l’immagine di studente inesperto del mondo.

Migliore figura farete, ad esempio, se direte: "le riassumo le informazioni che posseggo sulla vostra azienda, e l’immagine che, superficialmente, me ne sono fatto: me le può per favore correggere e integrare?" E a questo punto dovete partire, senza farla troppo lunga, dal mercato e dal contesto competitivo di riferimento (concorrenti, regole del gioco, posizionamento), citare ciò che sapete delle dimensioni, struttura e prodotti dell’azienda, accennare ai cambiamenti che nel business stanno avvenendo, e (solo se avete qualche spunto significativo) accennare a come "vedete voi le cose" per l’azienda in questione.

Su questa base, il dialogo proseguirà "alla pari", e il selezionatore avrà l’impressione di confrontarsi con una persona che sa quello che vuole, sa programmarsi, sa informarsi prima di parlare, e infine sembra già un po' "di casa" in azienda. Informarsi sulla vita delle grandi aziende non è difficile, mentre per quelle medie dovrete rivolgervi alla stampa specializzata o alle associazioni di categoria (o, meglio, fare un "tam tam" per conoscere qualcuno che ci lavora). Sarà forse un po' complicato, ma ne vale sicuramente la pena: in particolare per le aziende meno note, incontrare una persona informata sulla loro situazione fa sempre colpo.

IV) TRANQUILLI E SORRIDENTI

Non preoccupatevi se siete un po’ nervosi prima del colloquio: un buon selezionatore saprà mettervi a vostro agio e instaurare un clima disteso. E’ importante che voi contribuiate: un sorriso e un atteggiamento sereno dimostrano che sapete reggere bene lo stress; e inoltre, chi assumerebbe un musone come collega? Attenzione però che la tensione è anche un indispensabile meccanismo di difesa, che consente di mobilitare e sfruttare al massimo tutte le proprie risorse. Chi si lascia andare, e passa a un atteggiamento troppo rilassato, dimostra scarsa "tenuta" e spesso finisce per commettere errori. Essere disponibili e sereni non significa perdere il controllo costante della situazione.

V) NE' INGENUI, NE' ATTEGGIATI, NE' ECCESSIVI

Essere sinceri e dare fiducia all’interlocutore non significa dimostrarsi ingenui: non state conversando nè confidandovi, ma state parlando con un obiettivo preciso e con una persona che vi giudicherà anche per il modo in cui perseguite questo obiettivo. Quindi, senza distorcere i fatti, avete una buona occasione, parlando di voi stessi, di dimostrare come sapete cogliere e dominare la complessità del reale, e come sapete analizzare e interpretare i fatti con realismo e senso dell’opportunità. Chi sa vendere bene se stesso saprà vendere bene anche l’azienda in cui lavora. Soprattutto, però, evitate di atteggiarvi a ciò che non siete: chi posa da grande manager a 24 anni, chi vuole comunque recitare un ruolo più grande di sé, chi, in generale, con atteggiamenti supponenti o deduttivi mira a far colpo sul selezionatore, andrà incontro a una garbata presa in giro da parte di quest’ultimo e spesso non se ne accorgerà neppure. È inoltre buona norma evitare di dare giudizi o fare affermazioni estremistiche, drastiche o troppo originali. Forse non è bello, ma le aziende amano più i toni sfumati che quelli troppo vividi, e apprezzano l’equilibrio più che la provocazione foss’anche geniale. Tenete sotto controllo, quindi, i superlativi, i punti esclamativi ed i pugni sul tavolo.

VI) PENSATE POSITIVO, CREATIVO E CONCRETO

Ma quali sono le caratteristiche più importanti che le aziende cercano nei futuri collaboratori? Che immagine di sé bisogna cercare di dare? Ovviamente ogni posizione da coprire, ogni azienda, e ogni selezionatore avranno le loro preferenze soggettive: ma c’è un requisito che è assolutamente universale: sul lavoro ci vuole gente che parli poco, e tiri la carretta.

Tutti i capi, nessuno escluso, vogliono innanzitutto al loro fianco persone concrete, propositive e attive, che pensino a come risolvere i problemi, e non a commentarli o a complicarli. Meglio una persona semplice ma affidabile, che un intellettuale pigro. Per cui, nel colloquio bisogna assolutamente evitare di sembrare lamentosi, teorici, passivi. Mai dare la colpa dei propri eventuali insuccessi a qualcun altro; mai fare commenti fatalisti o manifestarsi egoisti, cavillosi, burocrati o scaricabarile: la generosità in azienda forse non sempre viene premiata, ma sempre viene richiesta. Meglio sembrare un po' arruffoni, che di manica stretta: se volete entrare in azienda, sulla vostra fronte deve esserci scritto col sangue "io non mi tiro indietro".

VII) PARLATE PER FAVORE

Guai se il colloquio diventa un interrogatorio, con un selezionatore progressivamente sempre più nervoso che fa domande, e un selezionato sempre più spaventato che risponde a monosillabi. Anche nella fase di "esame" il colloquio non ha un iter prestabilito: raccolte alcune informazioni indispensabili, al selezionatore interesserà soprattutto farvi parlare per capire come ragionate, come interagite, come polemizzate, che opinione avete di voi stessi e di ciò che vi circonda, quali aspirazioni avete e come volete raggiungerle. Se non parlate, se rispondete come a un interrogatorio, se non prendete mai l’iniziativa del discorso, egli si farà di voi un’opinione mediocre o, peggio, nessuna opinione. Dunque, motivate e sviluppate le vostre risposte e chiarite voi stessi ciò che può apparire ambiguo, prima che vi sia richiesto. Parlare bene vuol dire anche non parlare troppo: la sintesi è una delle virtù più apprezzate in azienda, perché trasmettere il maggior numero di informazioni nel minor tempo possibile vuol dire avere metodo, rigore logico e capacità espressive.

VIII) ATTENTI AL LINGUAGGIO

I rischi di incomprensione, nel colloquio, possono derivare o da un atteggiamento innaturale del candidato, che proietta un’ immagine falsata e quindi incomprensibile di sé, o da una marcata distonia di linguaggi tra selezionatore e candidato.

Il primo, a volte, dimentica di avere a che fare con una persona che sa poco o nulla di "aziendalese", mentre il secondo, a volte, dà un’ immagine di sé più immatura del necessario perché rimane legato a modi di esprimersi, a un gergo puramente accademico e magari, in aggiunta, provinciale e ingenuo.

Così, parlare di "ditta" quando si ha a che fare con una grossa azienda, o dilungarsi sugli esami sostenuti o sui professori, allontanano psicologicamente chi parla dal selezionatore che ascolta. È importante andare ai colloqui avendo ormai digerito un vocabolario aziendale essenziale: non è necessario sapere con precisione che cosa sia la customer satisfaction, o la struttura a matrice, o gli stocks, il rischio di cambio, l’ engineering, le operations o il trade marketing, o molte altre cose ancora, ma dobbiamo essere in grado di capire più o meno di che cosa si tratta, quanto meno per ciò che attiene il nostro campo d’interesse: un ingegnere può ignorare di che si occupi la tesoreria, ma non che cosa sia l’handling, e viceversa per un laureato in economia. Altrimenti scivoleremo man mano in quel mutismo così pericoloso di cui abbiamo accennato; se siamo colti alla sprovvista da qualche termine a noi ignoto, piuttosto che annuire con aria ebete conviene chiedere, con un po' di faccia tosta "ma, nella vostra specifica realtà, che cosa intendete esattamente con ...?".

IX) TENETE PRESENTE CHI AVETE DI FRONTE

Il selezionatore è interessato quanto voi al buon esito del colloquio: deve trovare qualcuno da assumere, e se quel qualcuno foste voi avrebbe terminato la sua fatica. Non è quindi un asettico esaminatore ed è più un alleato che un nemico. Nulla quindi lo irrita più che un atteggiamento sospettoso o reticente da parte vostra: se coglie paura, ambiguità o presunta "furbizia" nel vostro atteggiamento con lui, tenderà a pensare - e non a torto - che queste siano le vostre caratteristiche in ogni tipo di rapporto interpersonale. Se vi fa domande "cattive", che mirano a mettervi in difficoltà, state tranquilli perché in linea di massima significa che il colloquio sta andando bene: i colloqui più duri e aggressivi il buon selezionatore li fa con persone che interessano, mentre quelli rapidi e cortesi servono a liquidare chi appare palesemente inadeguato.

X) LA COMUNICAZIONE NON VERBALE: I VESTITI, I GESTI, LA VOCE E LO SGUARDO

In un colloquio, non sono solo le parole che contano: tutto il nostro corpo comunica, e non solo quello. Il nostro interlocutore ci ascolta anche con la vista e con il tatto (speriamo non con l’odorato!).

I nostri gesti, i nostri sguardi, il tono della nostra voce confermano, integrano o smentiscono le nostre affermazioni. Il modo in cui siamo vestiti, in cui salutiamo, in cui stiamo seduti può contribuire in maniera determinante a formare il giudizio su di noi. La nostra comunicazione non verbale è molto meno controllabile di quella verbale, in quanto più istintiva; vediamo però alcuni semplici accorgimenti per non complicarci la vita:

Come vestirsi

Negli USA esiste addirittura un libro ("Dress for success") che spiega qual’è il modo migliore di vestirsi per ogni incontro: quali calzini usare, quali cravatte ecc. Non esageriamo: però è indubitabile che la nostra immagine è data anche dal nostro abbigliamento. In fondo, noi "scegliamo" di vestirci così. Per i colloqui, l’importante è dare, anche nel look, una sensazione di affidabilità e serietà: la fantasia o originalità sono in questo caso degli "optional" a rischio. Non bisogna vestire casual, perché si darebbe un’ impressione di immaturità, ed è bene evitare accessori, trucco o colori troppo vistosi; non è opportuno però neanche "invecchiarsi" troppo, indossando per l’occasione improbabili vestiti da cinquantenni rimediati chissà dove. Alle ragazze è concessa ovviamente più libertà, ed è generalmente apprezzata una certa eleganza, mentre i maschi sono più vincolati al "giacca e cravatta", ed è bene che non abbiano un’aria troppo "perfettina" (che rende antipatici), salvo che il colloquio avvenga in realtà che danno all’apparenza molta importanza (società di consulenza, mondo della comunicazione, banche d’affari, ecc.). Oltre a ciò che indossate, badate a come lo indossate: niente vestiti troppo larghi e cascanti, niente colletti di cravatta allentati, niente forfora sul bavero, niente lenti degli occhiali sporche: è un’appuntamento importante, chi ci arriva trasandato sarà giudicato (non a torto) superficiale, disordinato o poco furbo;

Come parla il corpo

La comunicazione interpersonale è un fenomeno tremendamente complesso, e non è facile migliorare la propria efficacia di comunicatori in quattro e quattr’otto. Ma tenete presente che ci sono alcuni atteggiamenti chiave che tutti i selezionatori noteranno. La tensione potrà trasparire da un tono di voce affannato o precipitoso, o dal movimento nervoso o contratto delle mani, o da una posizione rigida sulla sedia: controllate questi fenomeni, e se vi accorgete che state mandando segnali di tensione respirate profondamente e rilassatevi, anche a costo di distrarvi per un momento. Atteggiamenti di "difesa", cioè di chiusura, di rigidità e scontrosità possono venire dal tenere le braccia conserte, la faccia contratta, lo sguardo corrugato: l’affermazione che "non avete problemi nei rapporti con la gente" sarebbe smentita mentre la pronunciate.

Gesticolare troppo dà un’idea di scarso autocontrollo, ma un po' di "movimento" fisico non tamburellante è opportuno, dimostra spontaneità e scioltezza. Lo sguardo deve essere rivolto agli occhi del selezionatore, ma non in modo ossessivo e penetrante, altrimenti la nostra Margherita chiamerà la polizia o l’autoambulanza.

La stretta di mano, sarà banale, ma è importante: ho notato che circa un quinto delle mani che si stringono assomigliano tuttora a wurstel troppo cotti, e vi assicuro che non è piacevole. Il problema non è la mano sudata o calda - può capitare anche ai migliori - ma, che si senta nella stretta un minimo di energia vitale, non un fremitino agonizzante! Così anche con la voce, è meglio essere qualche decibel sopra il vostro tono normale che qualche decibel sotto: almeno sarete sicuri di essere ascoltati. Variare un po' il tono della voce, essere "caldi" e non metallici è importante per rendere gradevole ciò che dite, anche se non è facile da improvvisare. Ma se riuscirete ad essere voi stessi, a non farvi mettere in soggezione, tutte queste cose si avvereranno senza sforzo.

Per concludere, un piccolo trucco per entrare meglio in sintonia con Margherita (ce lo insegna una giovane scienza che si chiama programmazione neurolinguistica): provate a giocare allo specchio con lei, cioè a ripetere tutti i suoi movimenti. Se si avvicina col busto a noi, fate lo stesso, e idem se abbassa il tono di voce o se aggrotta le sopracciglia incrociando le braccia, e così via. Dovrebbe creare inconsciamente un clima di maggiore intesa, e pare che funzioni.