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Le domande al colloquio di lavoro


Ma cosa vogliono sapere, in definitiva, le aziende, attraverso il colloquio? Poche semplici cose:
  1. se avete le conoscenze tecniche e le capacità di base necessarie per ricoprire quel tipo di posizione (in buona misura, sapete che immagine dovete fornire);
  2. se combaciate con le caratteristiche peculiari di "quella specifica" posizione: localizzazione, personalità del capo e dei colleghi, sviluppi e problemi prevedibili (qui giocate in parte al buio, perché difficilmente Margherita vi dirà se all’ipotetico capo piacciono persone brillanti e un po' casiniste, o affidabili e tranquille, o se è prevista una permanenza in quella posizione per 1-2 anni piuttosto che per 3-4);
  3. quali sono le vostre motivazioni e aspettative (l’importante è non essere così rigidi e selettivi da precludersi il 90% delle alternative. Tenete anche presente che a volte non si è scartati perché ritenuti inadeguati, ma anzi perché "troppo bravi": se voi esagerate nel "vendere" le vostre qualità ed ambizioni, per molte posizioni può sorgere il dubbio che non saranno abbastanza stimolanti per voi, e invece di vedervi offerto un lavoro discreto non vi verrà offerto nulla);
  4. le vostre capacità interpersonali (che sono sotto osservazione durante tutto il colloquio).
Tutte le domande che vi saranno poste mireranno ad acquisire informazioni su questi punti; perciò, se vi viene rivolta una domanda apparentemente strana, prima di rispondere chiedetevi che cosa probabilmente vuole scoprire. Se vi chiederanno "Datemi una definizione di "fantasia", quello che interessa non è evidentemente la vostra conoscenza del vocabolario, ma la capacità creativa e di improvvisazione.

Per scoprire quanto sopra, ogni selezionatore ha il suo stile: vi sono però delle domande "classiche" che probabilmente vi sentirete ripetere fino alla nausea in quasi tutti i colloqui. Tra le più frequenti segnalo:

"Mi dica quali sono i suoi punti di forza"

La risposta più efficace è, in questo caso, quella che sottolinea i punti di forza più attinenti con la ricerca in corso. Non bisogna quindi gigioneggiare su ciò che di noi piace a noi stessi, ma individuare quelle caratteristiche positive (possibilmente dimostrabili, perché facilmente ci saranno chiesti esempi e dati di fatto) che, intuitivamente, dovrebbero combaciare col profilo ideale del candidato.

"E i punti di debolezza?"

La cosa peggiore è cercare di svicolare dalla domanda con risposte "furbette" tese a dimostrare che, sostanzialmente, non ne abbiamo. Queste risposte dimostrano invece che o non sappiamo fare i conti con noi stessi, o ci illudiamo di fare fesso il prossimo. Qualche difetto, in pasto al selezionatore, glielo dobbiamo dare. Nel nostro vasto campionario, scegliamone uno simpatico, ma soprattutto scegliamone uno che il selezionatore avrebbe comunque notato, perché traspare palesemente dal curriculum o dal nostro modo di fare. È molto corretto, ma non troppo intelligente, spingere la sincerità fino a dire "Sa, oggi sembro pimpante e sicuro: ma dipende dal tempo. Quando fa caldo, mi affloscio come una gelatina!".

"Vedo che non ha alcuna esperienza di lavoro, in questo settore"

È il tipo di domanda che fa andare abitualmente fuori dai gangheri il neolaureato. "No! Non ho esperienza, e non vedo come potrò mai averla, se nessuno mi fa cominciare!" Questo è quello che viene voglia di urlare sul muso di quello scaldapanche dall’altra parte della scrivania. Ma in realtà il selezionatore, se non si è distratto, sa benissimo che non avete esperienza, e non gliene importa granché, altrimenti non vi avrebbe convocato. Pone questa domanda solo per vedere se voi riuscite a intuire i requisiti per fare bene quel tipo di lavoro, e a dargli alcune garanzie che, in nuce, li possedete. La risposta "corretta" quindi è: "no, ovviamente non ho esperienza nel trade marketing. Però mi par di capire che le cose importanti per riuscire bene siano una buona capacità di analisi, una passione per i supporti informatici, e nel contempo fantasia e innovazione continua. È un cocktail stimolante, nel quale mi riconosco abbastanza. Tra l’altro, ho già lavorato parecchio con il p.c. in Università, e devo dire che mi trovo a mio agio".

"Dove si vede tra cinque (o dieci) anni?"

Domanda anche questa stupida, ma nondimeno frequente, perché il neolaureato manco sa dove sarà tra cinque mesi, e di solito risponde in modo vago tipo "Ehm, spero di avere imparato molto...vorrei aver fatto un po' di carriera, però badi non sono esageratamente ambizioso... ...ehm.." Qualche sfrontatello risponde "Ma seduto sulla poltrona del vostro Amministratore Delegato, ovviamente", firmando in nove casi su dieci la propria condanna a morte, e nel restante riuscendo ad evitarla in extremis con un’ immediata bella risata. In realtà, per rispondere a questa domanda "segnando un punto", dovremmo capire che cosa la nostra amica Margherita (o il manager che incontriamo al secondo colloquio, perché questa è una tipica domanda da manager senza fantasia) si vuol sentir rispondere. Vuole forse avere una conferma sulla nostra fedeltà aziendale, sul fatto che non cambieremo società alla prima occasione? Vuole forse essere sicura che abbiamo una precisa vocazione per quella professione, e non chiederemo di cambiare funzione per un certo tempo? Vuole capire se siamo troppo, o troppo poco, ambiziosi? Se siamo disposti a viaggiare, anche all’estero? Siccome è un po' difficile intuirlo, non si sbaglia affidandosi ad una risposta vaga e dall’aria saggia ("Non so dove vorrei essere, certamente vorrei aver fatto della strada e aver affrontato alcune serie sfide professionali. Credo che solo i miei successi e insuccessi potranno fornire gli elementi giusti per indirizzare la mia carriera").

"Perché sceglierebbe proprio la nostra azienda?"

Qui dovete far valere i dati raccolti sull’ azienda in questione, secondo quanto consigliato più sopra.

"Vi definireste più una persona di pensiero o di azione?"

Domanda trabocchetto, che a volte si fa quando si teme di avere a che fare con un bruto tutto muscoli, o con una ameba tutta cervello e occhiali. Guai a cadere nella trappola, e farvi etichettare: anzi, siccome voi sapete bene di essere più l’una dell’altra cosa, affrettatevi elegantemente a bilanciare questa immagine "Proprio perché sinora sono stato immerso nella teoria, confesso che desidero, nei prossimi anni, fare cose magari più banali ma più concrete, visibili, operative. Ho un buon bagaglio intellettuale, ma adesso voglio cimentarmi con i problemi concreti!".

"Quando intende fare un figlio?"

In realtà Margherita non vi farà mai questa domanda, non solo perché è donna, ma anche perché è vietata dalla legge. Ma se siete una giovane donna sposata, solo il più ipocrita dei selezionatori potrà negare che la domanda, lui, se la farà, e così il vostro ipotetico capo. Le giovani laureate sposate, dunque, affrontino esse stesse il problema con molta serenità: l’azienda vuole di fatto solo essere tranquillizzata che la gravidanza non arriverà (salvo imprevisti!) al di fuori di un minimo di programmazione di carriera. Oggi la maggior parte delle laureate "in carriera" ha figli dopo i 31-32 anni, e questo consente sia all’ interessata che all’azienda un sicuro "ritorno dell’investimento" effettuato con l’assunzione.

Ma abbiamo detto che c’è una fase del colloquio in cui il selezionatore si aspetta che siamo noi a fare domande. Ecco qualche esempio di domande utili od opportune:

"Mi può illustrare più a fondo i contenuti del lavoro?"

Molto probabilmente, all’inizio del colloquio, il selezionatore vi avrà accennato al tipo di posizione per cui sta effettuando la ricerca, senza però scendere in molti particolari; magari vi avrà anche chiesto "è chiaro?" e voi avrete bovinamente annuito, perché ancora "freddo", anche se non avrete capito granché. È invece fondamentale capire nei dettagli qual’è la posizione offerta, non solo per far vedere che non siete così bovini come era sembrato, ma anche per impostare bene l’eventuale secondo colloquio, che avverrebbe col responsabile della funzione in oggetto, e infine, ovviamente, per avere tutti gli elementi per poter prendere una decisione nel caso vi arrivasse finalmente l’offerta.

"Che tipo di persona cerca la vostra azienda, quali sono i suoi valori?"

Questo è un semplice modo per poter eventualmente correggere alcune sfumature della vostra immagine, in funzione dei requisiti chiave che vi saranno esposti (e che di solito sono precisi e sinceri: "Il valore fondamentale per noi è la collaboratività, il rispetto per gli altri", "Questa è una azienda di sgobboni, di gente che non si tira mai indietro, e che fa della propria competenza tecnica un punto d’orgoglio", "Vogliamo persone giovani, combattive, dinamiche, ambiziose" e così via).

"Mi tolga una curiosità: a lei cosa piace di più, dell’azienda in cui lavora? "

Questo è un modo un po' più ruffiano di fare la domanda precedente: consente di avere informazioni importanti sulla cultura aziendale, e in più personalizza, riscalda il rapporto tra candidato e selezionatore, che per qualche minuto parleranno come se fossero vecchi amici.

"Quali sono le sfide più difficili che dovrà affrontare la vostra azienda nei prossimi anni?"

Anche questa domanda scalda l’atmosfera, anche se in modo meno personale; vi consente inoltre di acquisire importanti informazioni per gestire al meglio l’eventuale secondo colloquio con il manager di linea.